Zone rosse e zone franche. Reggio Emilia

Da alcune settimane sono in vigore a Reggio Emilia le zone rosse, parti della città in cui vige un diritto diverso da quello ordinario, zone dalle quali chi ha atteggiamenti considerati fastidiosi può venire allontanato e, in caso di ritorno, arrestato e soggetto a daspo. A decidere la “fastidiosità” sono le forze di polizia, a loro insindacabile arbitrio. Trattandosi di misure amministrative, infatti, le persone colpite non hanno nemmeno le minime garanzie previste -almeno in linea teorica- dal sistema giudiziario.

Le zone rosse sono il primo frutto tangibile di una lunga campagna portata avanti da comitati di quartiere e partiti di destra, pronti ad enfatizzare ogni evento di microcriminalità, soprattutto in zona stazione centrale.

Un po’ di cronologia: a settembre 2021 venne sgomberata l’area delle ex Officine Reggiane, una zona industriale abbandonata nella quale vivevano in condizioni terribili centinaia di immigrati senza tetto, fra cui spacciatori e tossicodipendenti. I percorsi di “reinserimento” non sono stati efficaci quanto lo sgombero e molte di quelle persone si sono sparse nella vicina zona della stazione, già interessata da problemi di marginalità. Mentre quello che succedeva alle Reggiane era tutto sommato poco visibile, la zona stazione è sotto gli occhi di tutti. La comparsa del crack ha poi peggiorato la situazione.

Dopo lunghi tentennamenti, lo scorso luglio la prefettura di Reggio ha richiesto l’esercito per presidiare la zona. Mentre la precedente amministrazione era stata fredda verso i militari in stazione, il nuovo sindaco ha aperto a questa possibilità già in campagna elettorale, intuendo i voti che poteva raccogliere in barba ai ventilati principi di sinistra. Non è la prima volta che anche il cosiddetto centrosinistra si allinea al paradigma securitario e repressivo, e che ciò sia per convinzione o per fini elettorali poco importa. La sicurezza urbana proposta da politici e media non è altro che una strategia di “pulizia” dei territori e di promozione di un decoro – concetto ormai caro tanto alle istituzioni quanto ai sedicenti cittadini per bene – che di fatto è solo la rimozione delle persone considerate indecenti, immorali, povere e ritenute pericolose. Si restringe costantemente la platea dei soggetti socialmente accettabili. Ecco quindi che dai politici di destra e dal non meno destrorso comitato di quartiere arriva la richiesta di militari, di maggiori poteri alla polizia, di maggiore repressione. La prefettura, espressione di un governo che più di destra non si può, si fa portavoce di tale richiesta. Sia chiaro, che il comitato sia di destra non ce lo siamo sognato: sul Carlino abbiamo letto la loro esultanza, che fra le altre cose li ha portati a dichiarare “non ci interessa il colore della pelle e non siamo razzisti”, ma qualche riga prima si poteva leggere “nel nostro quartiere sembrava di stare a Marrakech”, in tono spregiativo.

Il dato per noi più preoccupante è che la politica delle zone rosse e della militarizzazione rivela una mentalità repressiva che non coinvolge più solo i politicanti e i demagoghi di destra, ma si è diffusa anche fra i comuni cittadini. Un’informazione mirata a far aumentare la percezione di insicurezza e pericolo alimenta una richiesta non di giustizia sociale, come succedeva in passato in queste terre, bensì di giustizia penale e di maggiori poteri ai poliziotti, e solo verso la criminalità spicciola.

In un clamoroso rovesciamento di cause ed effetti, molti cittadini sono scandalizzati dalla vista dei poveri, non dalla povertà. Si scagliano contro persone disperate, non contro chi le ha ridotte così. Tuonano contro chi è senza casa e cerca di occupare edifici vuoti, non contro chi ha devastato il sistema di case popolari a favore della speculazione immobiliare.

Certamente la criminalità a Reggio è in continua ascesa e sta assumendo il controllo. Ma quale criminalità? E di che cosa sta assumendo il controllo? La criminalità è quella vera, organizzata, in special modo la mafia calabrese. E sta assumendo il controllo non della zona stazione, ma di ampie branche dell’economia. Secondo una fonte istituzionale più che attendibile e non certo sospettabile di simpatie anarchiche, cioè il procuratore capo Paci (intervista del 21/01/24), la ‘ndrangheta anche dopo il processo Aemilia è presente in forze a Reggio Emilia, e anzi la città sta diventando un nodo fondamentale per i traffici criminali nel nord Italia. Traffico di cocaina certo, ma non solo. Negli ultimi cinque anni la procura reggiana ha visto un aumento costante di reati in materia economica, con un 70% di incremento solo nell’ultimo anno. Sono reati veri, che foraggiano le mafie, commessi in tandem dai mafiosi e dai bravi imprenditori reggiani. A Reggio Emilia sono state emesse più interdittive antimafia che a Palermo o Catanzaro: 217 negli ultimi tre anni, già 50 a metà 2024. Eppure le campagne stampa, i comitati di quartiere e i politici locali invocano le zone rosse e l’intervento dell’esercito per contrastare il piccolo spaccio e perseguitare chi usa edifici abbandonati per dormire.

Ma davvero credono che le persone farebbero i propri bisogni in un angolo all’aperto se avessero un alloggio e un lavoro dignitoso col quale pagarlo? Davvero pensano che si abbrutirebbero col crack se non fossero alla disperazione? E soprattutto, qualcuno crede che, se i poliziotti riuscissero a “ripulire” le zone rosse, tutti i problemi non si ripresenterebbero identici in un altro quartiere? In ambito istituzionale l’unica soluzione sarebbero politiche sociali decenti, che nessuno però si sogna nemmeno di proporre.

Certamente trovare tossicodipendenti e spacciatori sotto casa e per le strade in cui si vive causa malcontento, ma deve essere chiaro che questo è solo il risultato di scelte precise compiute dai governi, spesso dagli stessi partiti che ora invocano l’esercito e la repressione, applicando politiche funzionali a ben altri scopi, fra cui, non secondario, creare l’abitudine a vedere militari armati per le strade e considerarne normale e rassicurante la presenza.

Zone rosse come zone franche per le forze di polizia quindi, che già godono di ampia impunità. Di recente, il tribunale di Reggio ha giudicato una decina di guardie carcerarie per il brutale pestaggio di un detenuto, nonché per falso. Pur riconosciuti colpevoli, gli agenti sono stati condannati a pene ridicole e potranno restare in servizio poiché la sentenza prevede la non menzione in fedina penale. Torneranno al lavoro, sentendosi anzi legittimati dal loro ruolo nell’uso della violenza. Il reato di tortura, del quale erano accusati, è stato “ristrutturato” e trasformato in semplice abuso di autorità. Picchiare un detenuto disarmato e in sudditanza psicologica data la sua condizione, sarebbe solo un “abuso di autorità”. Non è certo la prima volta che in Italia le violenze poliziesche ricevono l’equivalente di un buffetto sulla guancia, ma questo avviene mentre col DdL sicurezza l’estrema destra al governo prevede un aggravamento abnorme delle pene per qualsiasi forma di opposizione sociale. Coincidenze? Non crediamo.

E c’è il rischio che, oltre a quelle per i crimini economici e per la polizia, a Reggio venga creata una zona franca anche per i fascisti. Dopo le voci di un’imminente apertura di covi fascisti in città, la “rete dei patrioti” ha lanciato un corteo per il 29 marzo per “riprendersi la città, contro degrado, spaccio e violenza”. Sembra si tratti di ex esponenti di Casa Pound e Forza Nuova, più altro fascistume assortito. Il punto è che i concetti e le parole che usano sono le stesse del già citato comitato di quartiere, dei partiti di governo, le stesse della politica locale, soprattutto “degrado”. E allora il rischio è che si crei una saldatura informale fra questi soggetti per un unico fine: il controllo capillare, la criminalizzazione di ogni diversità e dissenso, la promozione del loro decoro, la militarizzazione della città.

La mobilitazione contro questo evento è già iniziata, ma sono iniziati anche gli appelli alla prefettura per vietare il corteo e i richiami alla costituzione. La prefettura: quella che ha richiesto i militari. La costituzione: quella che non ha mai impedito la rinascita dei fascismi, tanto che oggi abbiamo un governo post-fascista e fascisti per le strade, quella che non ha mai impedito nemmeno la guerra, ad onta del tanto citato articolo 11. Non dovrebbe essere necessario ripeterlo: nessuna legge previene il fascismo, solo l’antifascismo militante e la diffusione di pratiche libertarie e antigerarchiche dal basso possono farlo.

A Reggio ci sono molti problemi reali: persone senza casa, senza lavoro, alcune abbrutite dalle dipendenze. Ci sono anche persone che vivono ai margini, che lavorano ma sono povere e basta un piccolo rovescio di fortuna, un infortunio, un licenziamento, un contratto non rinnovato, un padrone di casa che preferisce affittare a giornate per l’arena spettacoli, e queste persone si ritrovano per strada. Soprattutto se migranti. Soprattutto se senza una rete sociale che le accolga. Questo è un vero problema di decoro. Una città e una società che accettano una situazione del genere non sono decorose. Ma il problema più profondo è che, come società e come comunità, si è persa la capacità di andare alla radice dei problemi per tentare di risolverli. La risposta non può essere più polizia o soldati armati, la risposta sta nella pratica della solidarietà e nella realizzazione di una società differente dalla attuale.

Anche noi vogliamo sicurezza: la sicurezza di un lavoro dignitoso, di un alloggio decoroso, di accesso alle cure sanitarie, di essere accolti se si fugge da una vita di miseria e morte. Vogliamo una sicurezza collettiva che tuteli ogni persona, tutelando così anche la società nel suo complesso. Una sicurezza da contrapporre a quella repressiva, privata e individualista che oggi viene imposta dal potere e percepita da molti cittadini come unica soluzione.

G&G

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